LA PERCEZIONE VISIVA

Allo IED ho tenuto per qualche anno a partire dal 1976 un corso sulla lettura critica dell’immagine all’interno dei corsi di fotografia di Guido Vanzetti e Giampiero Medori. Partivo dalla teoria del campo e dall’immagine considerata come campo all’interno del quale andavano rispettati criteri di coerenza. Come impianto teorico del mio corso prendevo in considerazione i principi della gestalt che Rudolf Arnheim aveva applicato alle arti visive nel suo famoso saggio Arte e percezione visiva del 1954. Lo scopo del mio corso era modificare il modo di vedere degli allievi, rendendolo consapevole e orientato alla comunicazione. Cercavo di liberare gli allievi dal feticismo che avevano per fotocamere, obiettivi, flash e tutti gli altri giocattoli che servivano ad alimentare la loro passione per la fotografia, orientando la loro attenzione sul pensiero visivo che si serve dell’occhio per comunicare attraverso le immagini e che, solo dopo aver chiaro il tipo di immagine con cui vuole esprimersi o comunicare, può prendere in mano un pennello o una macchina fotografica.
Ho riordinato gli appunti di allora, diligentemente raccolti da alcuni allievi, e ne ho ricavato 37 voci dell’Atlante di Problem Solving.
Per strutturare un proprio percorso servendosi di queste o si può partire dalla voce “percezione visiva” e poi andare su tutte le voci linkate nella pagina.
Raccomando ad artisti visivi e fotografi di verificare ogni voce con loro esperimenti. Per esempio, partendo dalla pagina che parla di figura e sfondo, si può prendere un oggetto qualsiasi – una tazza, un frutto, un fiore – e provare a staccarlo il più possibile dal fondo, oppure mimetizzarlo il più possibile, come ho mostrato nella pagina stessa. Si può anche lavorare su immagini preesistenti modificandole con programmi di ritocco fotografico.

Il problema messo in luce dalla percezione visiva è che noi non vediamo ciò che ci sta davanti, ma ciò che sappiamo, che ricordiamo, che pensiamo, sia in modo cosciente, sia in modo automatico. Ce lo provano le ambiguità percettive o le illusioni ottiche, tanto per fare un esempio.
Molti artisti, illustratori, fotografi e grafici hanno tenuto conto dei principi gestaltici nell’ideazione e nella realizzazione delle loro opere. Un esempio famoso è costituito da Maurits Cornelis Escher, nelle cui opere riconosciamo ambiguità tra figura e sfondo, figure impossibili, figure sperimentali come il triangolo di Penrose o il cubo di Necker.

Mosaic II è un’opera grafica del 1957, in cui Escher costruisce tutto sull’ambiguità tra figura e sfondo. Appaiono figure diverse a seconda che si considerino come figure quelle chiare o quelle scure.

Nella foto io sto visitando la grande mostra di Vasarely tenutasi nel 2019 al Centre Pompidou di Parigi. Vasarely, come altri esponenti della Op Art, ha tenuto sempre presenti i principi gestaltici che spesso sono stati i veri e propri temi delle sue opere.

Malika Favre crea immagini molto efficaci con una marcata semplificazione vettoriale per mezzo di larghe superfici a tinte piatte e con ricorso agli artifici percettivi come per questo torsolo di mela che è anche una suggestione erotica dei due profili degli amanti, di cui uno è il nero del fondo, l’altro è l’ombra del torsolo.

Nina Papioreck è una fotografa minimalista tedesca che predilige soggetti architettonici con composizioni rigorose e fortemente optical un cui la figura umana appare come piccolissima trasgressione, ma anche come contrappunto vitale alle strutture di cemento.

 

In questo articolo del 2023 parlo di percezione visiva per i lettori della rivista web Caos Management.

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