PROBLEM SOLVING

Ho tenuto corsi, conferenze e sedute private e pubbliche sul problem solving, da incontri individuali dal vivo o via web a giornate d’aula, fino ad eventi in teatro o in auditori con centinaia di persone.
Ho utilizzato il mio metodo personale dei 5 passi o il problem solving strategico, che ho appreso nei master di Giorgio Nardone, o anche una combinazione fra i due, o parti dell’uno e dell’altro.

Questi sono i 5 passi:

1. Problem finding – Scoprire disagi e problemi latenti
2. Problem setting – Definire i disagi come problemi risolvibili
3. Problem solving – Cercare soluzioni
4. Decision making – Scegliere le soluzioni migliori
5. Decision taking – Applicare le soluzioni scelte

Per cambiare la situazione occorre percorrere tutti e cinque i passi. Se per esempio sentiamo un disagio (sono sovrappeso), dobbiamo definirlo come problema riferito ad un obiettivo (voglio perdere 3 chili in un anno), cercare soluzioni (dieta ipocalorica, jogging, palestra, nuoto, bici), scegliere le soluzioni più adatte (regime alimentare controllato e jogging), applicarle (da domani inizio a tenere un diario alimentare e a fare 30 minuti di jogging). Se non faccio tutto ciò continuerò a sentire il disagio del sovrappeso e nulla cambierà, anzi è molto probabile che il peso aumenti ancora.

Il problem solving strategico sfrutta la capacità di autoinganno di ciascuno di noi per proiettarci al di là del problema, e che ricorre a stratagemmi per vincere le resistenze e per guidare verso il superamento dei propri limiti o verso il raggiungimento delle proprie mete.
Il modello è stato creato nel Mental Research Institute di Palo Alto, con le famose ricerche di Bateson, Watzlawick e altri, ed elaborato da Giorgio Nardone nel Centro di Terapia Strategica di Arezzo.
Il modello si basa su quattro passi:

1. una chiara definizione del problema in termini concreti,
2. un’analisi delle soluzioni finora tentate,
3. una chiara definizione del cambiamento concreto da effettuare,
4. la formulazione e la messa in atto di un piano per provocare tale cambiamento.

Giorgio Nardone aggiunge l’uso di stratagemmi di arte militare cinese come leve di cambiamento, la tecnica dell’autoinganno come terapia di self help, il dialogo strategico come pratica di aiuto del cliente.

Io attribuisco una particolare importanza al problem setting, tanto da avergli dedicato un sito fin dal 2000: www.problemsetting.it. Prima del problema c’è un muro, un ostacolo, un disagio. Il setting definisce il disagio come problema, ossia come qualcosa che si può risolvere – altrimenti non sarebbe più un problema, ma le condizioni in cui ci troviamo ad affrontare il problema che ci riguarda – e che individua nel muro una porta, o una scala, una via di uscita.
Il problem solving ci fa salire la scala, scomponendo il problema principale in sottoproblemi per risolverli più facilmente l’uno dopo l’altro. Salire la scala vuol dire cambiare punto di vista affacciandosi al di sopra del muro, avere nuove visioni e magari scoprire nuovi problemi da risolvere per un miglioramento continuo.

Perché dare tanta importanza al setting?
Fin dalla scuola elementare il livello richiesto dal setting è superiore a quello richiesto dal solving. Il maestro infatti assegna il problema all’allievo perché lo risolva.
Anche a livello gerarchico nelle organizzazioni il setting è più importante del solving. In genere il capo definisce problemi e obiettivi, e i collaboratori risolvono i problemi per raggiungere gli obiettivi.

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